I centri antiviolenza denunciano: la “quarantena” contro il virus fa esplodere i conflitti
Ogni giorno quattro donne su dieci denunciano di essere vittima di maltrattamento. Un numero piccolo, sottostimato, se lo analizziamo dalla prospettiva delle operatrici dei centri antiviolenza, secondo le quali è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno tanto diffuso quanto sottaciuto, trattenuto come un segreto di cui vergognarsi o una verità che non si vuole accettare da molte donne, giovani e meno giovani, italiane e straniere, povere e ricche. Un numero che, invece, s’ingigantisce enormemente se pensiamo, poi, al ruolo che ciascuna donna ha nella società, come figlia, madre, nonna, come lavoratrice, calata nella sua rete amicale, che può come può non essere coinvolta nell’intimità di un tale dramma domestico.
I numeri delle denunce della violenza sulle donne diventano ancora più allarmanti in tempo di coronavirus, allorquando le proprie case diventano prigioni. Dove le donne maltrattate, spesso assieme ai loro bambini, si sono ritrovate senza più via di fuga nelle mani dei loro aguzzini. Donne che fino a qualche settimana fa avrebbero potuto chiedere aiuto, ma oggi, controllate a vista, non possono più nemmeno accendere il cellulare.
Ma le cifre della violenza sulle donne sono anche quelle delle denunce che si chiudono troppo in fretta con richieste di archiviazione dalle Procure. Ed in tempi del genere ancor più velocemente data l’alta concentrazione riservata all’emergenza dei nostri giorni. I dati diffusi suonano come un grido d’allarme: aumentano le chiamate al 112, mentre diminuiscono quelle al 1522, numero di pubblica utilità attivo 24 ore su 24 per il contrasto del fenomeno della violenza di genere.
L’elemento più preoccupante «è che nella maggior parte di questi casi le denunce, già in sé non corrispondenti alla totalità “vera” degli episodi, restano senza seguito».
Dichiara Lanzoni:
“Noi ci siamo sempre ma purtroppo i centri che aderiscono alla rete Reama di Fondazione Pangea Onlus ci hanno raccontato di zone in cui le segnalazioni sono estremamente diminuite, come al Nord, altre in cui le donne chiamano, spesso in situazioni estreme, ed è molto difficile aiutarle e raggiungerle. È un bene che la ministra Bonetti sia sensibile al tema e abbia richiamato all’uso del 1522, ma si deve fare di più”, dice Lanzoni.
Altra criticità è quella delle case rifugio che sono già piene e le cui comunità, fatte di mamme e bambini già in sicurezza, non possono permettersi di accogliere persone ex novo, a maggior ragione durante l’emergenza coronavirus.
A tal proposito la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti e la ministra degli Interni Luciana Lamorgese hanno stabilito una linea comune per reperire luoghi che possano diventare case rifugio. I prefetti saranno invitati a segnalare strutture che possano servire ad ospitare donne vittime di violenza assieme ai loro figli, sottolineando che bisognerebbe farlo davvero molto velocemente, fornendo nuove case rifugio in maniera istantanea. D’altronde, si tratta di luoghi il cui numero risulta insufficiente anche al di là dell’attuale situazione emergenziale.
La denuncia infine ancora non appare alle donne uno strumento utile di uscita dalla violenza e di tutela: anzi proprio in seguito alla presentazione della denuncia, purtroppo, spesso si vive il momento di rischio maggiore. Lasciando l’ultima parola ai numeri: tra tutte le telefonate ricevute dagli operatori assistenziali, la percentuale dei casi di violenza psicologica o fisica oscilla tra il 70 e l’87 per cento, un quarto del totale riguarda situazioni di violenza economica, il 15 per cento è stalking e il 13 per cento violenza sessuale: percentuali che talora si sovrappongono, perché un fatto non esclude gli altri.
Ed è un dato di fatto ormai consolidato che i contesti più «pericolosi» sono quelli teoricamente più sicuri: l’86 per cento delle violenze sessuali viene subita da persone che si conoscono, 67 volte su cento tra le mura domestiche. E ancora: la percentauale dei maltrattamenti a opera dei mariti è del 46 per cento, 52 per cento se al conto si aggiungono gli ex mariti. Quanto alle vittime, quasi sette su dieci di quante presentano una denuncia sono italiane e poco più della metà ha un’età compresa tra i 28 e i 47 anni: sei su dieci hanno un lavoro e un livello culturale elevato. Tra le straniere le più colpite risultano essere le romene e le peruviane: ma anche questo dato, naturalmente, è riferito solo a quante denunciano i fatti. Ed in tempi di calma e normalità socio ambientale. Quanto ancora potrà durare l’emergenza nell’emergenza, e quanto potranno risultare impietosi i numeri delle violenze domestiche durante la quarantena dovuta al coronavirus?