Il reato di maltrattamenti in famiglia è stato disposto successivamente alle numerevoli sentenze della corte di cassazione, e al fine di tutelare al meglio coloro che si trovano in questa situazione disagevole.
Al momento, la disposizione afferma che non sussiste il reato specifico di maltrattamenti in famiglia a seguito di un unico episodio di violenza psicologica o fisica all’interno delle mura domestiche. Un singolo episodio infatti, dispone solo la sussistenza del reato di violenza privata, che è un reato minore e che non identifica una serie di maltrattamenti, ma solo un’unico episodio di violenza.
Dunque per il reato di maltrattamenti in famiglia è necessario che via sia una pluralità di denuncie e violente perpetrate nel tempo. Nello specifico per denunciare qualcuno è necessario che vi siano stati: atti che possono ledere alla libertà, al decoro e all’integrità della vittima. Oppure in secondo luogo questo sussiste nel caso vi sussistano atti di umiliazione o disprezzo che possano offendere la dignità umana.
Maltrattamenti in famiglia: le sentenze della cassazione cosa determinano
Riassumendo le varie sentenze della cassazione dunque, i giudici hanno stabilito che i maltrattamenti in famiglia, possono essere considerati tali solo nel caso in cui vi siano più episodi di violenza. In quanto il singolo episodio che trae origini dalle situazioni familiari e dai rapporti contingenti possono verificarsi nel corso di una convivenza familiare.
Anche se vi fossero vari litigi fra moglie e marito e questi degenerassero ogni tanto in violenze psicologiche o fisiche, non sarebbe possibile far scattare il reato di maltrattamenti in famiglia. Per richiedere questo reato è necessario che vi sia una sopraffazione da parte di un membro della famiglia sull’altro in modo sistematico e continuo.
Cosa stabilisce il codice penale
Il codice penale italiano, stabilisce dunque che chiunque all’interno del nucleo familiare maltratti una persona che ne fa parte, o un minore di 14 anni, o persona a lui affidata in merito all’educazione, all’istruzione, cura, custodia o vigilanza. Ogni persona che è legalmente tutelata da una famiglia, anche se non possiede con loro alcun legame di sangue, potrebbe fare una denuncia per il reato di maltrattamenti familiari.
Il codice penale afferma che nel caso il reato di maltrattamenti in famiglia venga accertato questo può essere punito con la reclusione tra gli uno e i cinque anni. Se di fatto si constatano anche lesioni gravi personali, l’avvocato può richiedere anche una reclusione tra i quattro e gli otto anni. Infine, se ne derivano lesioni considerate gravissime, la reclusione prevista è tra i sette e i quindici anni. Infine, se ne deriva la morte del maltrattato la pena potrà essere tra i 12 e i 20 anni.
La morte del maltratto, non comprende solo l’omicidio diretto, ma anche la morte indiretta per suicidio nel caso questo derivi dopo una serie di sofferenze sia morali sia fisiche. In questo caso il “carnefice” è colpevole a causa dei suoi ripetuti episodi vessatori nei confronti della vittima.
Naturalmente, in questi casi è necessario che il reo abbia perpetrato per diverso tempo azioni volte ad avvilire e sopraffare la vittima. Tutti gli episodi di aggressione che siano materiali o morali devono essere provati e tutti i singoli fatti devono essere connessi tra loro. Solo in questo caso è possibile provare che vi sia la volontà unitaria e persistente volta alla perpetrazione di un crimine.
Quindi che il delitto si consumi attraverso suicidio, o omicidio diretto non comporta alcuna differenza al fine del reato, in quanto questo deriva sempre da maltrattamenti continui.
Il reato di maltrattamento secondo la giurisprudenza
La giurisprudenza in materia di maltrattamento afferma dunque che il reato si caratterizza per l’evidente susseguirsi di una serie di episodi violenti che nel tempo acquistano una rilevanza penale, per effetto della loro reiterazione nel corso del tempo.
Bisogna dunque sottolineare che purtroppo questo reato esiste solo nel caso vi sia un nesso di abitualità e reiteravità nella conduzione di una condotta violenta. Bisogna ricordare che i maltrattamenti però non sono da identificare solo con quelli di carattere violento, ma anche con episodi di controllo psicologico.
Infatti la giurisprudenza conferma che i maltrattamenti non si limitano alle minacce, alle ingiurie, alle percosse. Infatti, sono compresi anche quelli morali, questi sono il disprezzo, l’umiliazione, l’asservimento che possono condannare il malcapitato a forti sofferenze morali. Quando il clima familiare diviene dittatoriale e vessatorio è necessario richiedere l’intervento dei servizi sociali o delle forze dell’ordine e denunciare i datti che si perpetrano in famiglia.
Nell’ultimo periodo alcune sentenze della cassazione hanno confermato che il reato di maltrattamenti in famiglia viene considerato nel momento in cui uno dei due genitori fa di tutto per escludere l’altro dalla vita del figlio. Questo caso spesso può sussistere in cado di divorzio, infatti, capita che anche in caso di affido congiunto, uno dei due coniugi cerchi in tutti i modi di non far vedere il bambino all’altro.
L’obbligo di segnalazione da parte dei presidi sanitari e delle istituzioni scolastiche
Spesso le vittime di maltrattamento non denunciano i fatti, specie se di carattere morale, diventa al quanto difficile scoprire quando e quante volte, la vittima abbia subito dei maltrattamenti. Una legge del 2013, ha dunque stabilito che innanzi tutto le istituzioni e i presidi sanitari debbano segnalare problemi di salute, o comportamenti sospetti. Questi devono avvisare immediatamente il centro antiviolenza del territorio, e in caso di minori devono richiedere l’intervento dei servizi sociali.
Anche le forze dell’ordine e tutte le istituzioni pubbliche che ricevono notizia di un maltrattamento devono avvisare obbligatoriamente i centri antiviolenza che sono presenti nella zona nella quale risiede la vittima, qualora questa ne faccia richiesta.