Vietare trucchi e vestiti alla moglie: può essere considerato un maltrattamento?
Come abbiamo già detto altre volte i maltrattamenti in famiglia non si identificano esclusivamente nel momento in cui si applichi una violenza fisica nei confronti del proprio familiare. Infatti, anche atteggiamenti che limitano la libertà personale o che implicano una vessazione psicologica rientrano nel reato di maltrattamenti in famiglia.
In questo caso vogliamo rifarci a una sentenza della cassazione del 2004 che ha disposto come vietare alla moglie l’impiego di cosmetici e l’impedimento a vestirsi come desiderava sia una chiara violazione della sua libertà, che implichi una vessazione psicologica.
Questo divieto quando assume specifiche caratteristiche, diventa un reato e si configura in quello dei maltrattamenti in famiglia.
Sentenza 30809/2004: la decisione della Cassazione
Con la Sentenza 30809 del 2004 la Corte di Cassazione ha deciso che impedire alla moglie di esprimere la propria femminilità apponendo il divieto di truccarsi e vestirsi secondo i suoi gusti rientri in un caso di maltrattamento familiare, punibile con l’art. 572 del codice penale.
Nel caso specifico la cassazione ha condannato per maltrattamenti il marito che, come riportato nella sentenza, impediva alla moglie di: truccarsi, vestirsi e pettinarsi come era di suo gusto.
Questo divieto è stato riconosciuto dalla corte di Cassazione come un atteggiamento da Padrone, che non è per nulla concesso dalla legge. Infatti, l’ossessione per il controllo del merito prevedeva che la consorte sotto varie ingiurie, venisse obbligata dal marito a fare le faccende domestiche solo nel momento in cui lo decideva lui.
Questo comportamento di tipo padronale, per la Corte Suprema della Cassazione si configura come un vero e proprio reato penale.
Nel caso, la donna stanca di dover sottostare al volere del marito ha deciso di denunciare tutti i fatti dinanzi al giudice al Tribunale di Trieste. Questo nel novembre del 2001 ha deciso di condannare l’uomo per il reato di maltrattamenti. Dopo due anni anche i giudici d’appello della Corte triestina hanno confermato lo stesso reato.
Secondo l’uomo, il comportamento che aveva nei confronti della donna non era “volontario”, ma causato dalle continue pretese e interferenze dalla madre, dalla quale non era mai riuscito a sottrarsi.
Secondo lui quindi, i comportamenti che sosteneva nei confronti della moglie erano dovuti dalla madre e non da una sua precisa volontà. Nonostante la “difesa” dell’uomo, che invece era ben in grado di intendere e di volere, e quindi di evitare tali comportamenti, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, dichiarando di fatto l’uomo colpevole.
L’uomo è stato infine condannato dalla Corte di cassazione per aver avuto una condotta denigratoria e sopratutto volta a limitare la libertà della moglie. Questi comportamenti considerati atteggiamenti da padrone dalla corte di cassazione hanno così portato a giudicarlo colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia.
Gli effetti della condanna nella giurisprudenza
Il reato di maltrattamenti in famiglia è sempre difficile da interpretare in quanto le ipotesi di reato che si vanno a effettuare possono essere differenti per ogni soggetto.
Esistono così tante forme di maltrattamento che si vanno così a costituire innumerevoli ipotesi di reato. Genericamente la legge considera un maltrattamento in famiglia: tutti quei comportamenti atti a ledere la dignità o la salute di un familiare o di chiunque sia sottoposto o affidata per ragioni di cura, educazione, vigilanza e custodia.
Quindi la norma prevede una ampia possibilità di giudizio, sono molteplici le interpretazioni che si possono dare con questa normativa. Per questo motivo si cerca di sottolineare che questo articolo sia una difesa dell’incolumità psichica e fisica delle persone del proprio nucleo familiare.
Grazie alle varie sentenze della cassazione si ha la possibilità di scrivere man mano un pezzo di storia della giurisprudenza. Le sentenze della cassazione sono in grado di delineare quindi una linea da seguire per i casi che verranno posti dinanzi a un tribunale.
In questo caso la cassazione ha dato la possibilità di considerare un vero e proprio maltrattamento nei confronti della moglie, gli atteggiamenti da padrone e la costrizione della donna a vestirsi o truccarsi in un certo modo.
Tanti anni fa, questi comportamenti erano considerati normali, l’uomo aveva il “diritto” di dare ordini alla donna. Ma dopo tante lotte e con l’avvento della modernità ciò non è più concesso e nemmeno previsto dalla legge italiana.
Quindi nel rispetto della legge e della dignità della donna bisogna ricordare che un marito, e una moglie, non possono dare “ordini” l’uno al l’altro. Questo comportamento configura un reato penale.
Vietare alla donna trucchi e vestiti è un maltrattamento se il comportamento si protrae nel tempo
Naturalmente, come è ben comprensibile, non basta che un marito “vieti” una volta in 10 anni di matrimonio di mettere un vestito alla propria moglie.
Certo non si dovrebbe mai vietare nulla, nei limiti del vivere civile, alla propria moglie e viceversa, ma non si può richiedere l’applicazione del reato per un caso isolato.
Quindi, vietare una volta alla propria moglie di truccarsi o vestirsi come desidera non è un reato, anche se potrebbe costituire un’avvisaglia per un comportamento ossessivo e da padrone.
Il reato si identifica nel momento in cui si limita costantemente e con comportamenti reiterati nel tempo, la libertà di scelta e di autodeterminazione della donna. Quando questo atteggiamento di marito padrone è costante, invece, è possibile richiedere il reato di maltrattamento.
Infatti, la cassazione già nella sentenza del 1996 numero 8396, affermo che nello schema dei maltrattamenti in famiglia non sono riconducibili sono lesioni, minacce, ingiurie e percorse. Anche le privazioni, atti volti al disprezzo, e atti che offendono la sua dignità e che comportano una sofferenza morale sono considerati un reato da punire.