Quando si parla di maltrattamenti, l’argomento è così vasto da rischiare di perdersi in una spirale senza uscita. In un mondo che va sempre troppo veloce, spesso è difficile soffermarsi ad osservare le vite degli altri e a cercare di comprendere se in esse ci siano segni di ferite passate o ancora in corso. Così, molto spesso, anzi troppo, coloro che vengono maltrattati passano inosservati, quasi fossero invisibili, e questo mentre chi fa uso della violenza, di qualsiasi forma essa sia, resta spesso impunito.
Per fortuna, negli ultimi tempi si sta iniziando a prestare una maggior attenzione a determinati fenomeni tanto da cercare di circoscriverli anche a leggi in grado di stabilire facilmente la presenza di un maltrattamento in modo da poterlo punire in quanto reato. Ad esempio, nella sfera sessuale, è da considerarsi un maltrattamento ogni forma di violenza anche se solo accennata o iniziata e poi interrotta per un qualsiasi motivo. Un concetto che in tanti tendono a sottovalutare pensando erroneamente che per esserci un maltrattamento in atto debba verificarsi un atto di violenza a tutti gli effetti.
Quando si può parlare di violenza sessuale su una donna
In realtà la Corte di Cassazione vede come maltrattamento qualsiasi gesto compiuto rapidamente o con la forza mentre l’altra persona è indifesa o impreparata. Un bacio dato all’improvviso bloccando l’altra persona ed impedendole di reagire, ad esempio, è una forma di maltrattamento. Allo stesso modo lo è allungare le mani o far uso della forza per spingere l’altra persona a subire qualsiasi tipo di azione di tipo fisico non voluta. Anche approfittare di una posizione di vantaggio per costringere l’altra persona è da considerarsi un reato. Un insegnante o un datore di lavoro che usi la sua posizione per costringere l’altro/a a fare o subire atti che non gradisce è quindi un reato perseguibile per legge.
Inoltre, c’è da considerare un altro fattore importante che è dato dallo stato di coscienza della “vittima”. Avere rapporti con una persona incapace di intendere e di volere o non del tutto nel pieno delle proprie capacità fisiche o mentali è un atto di violenza vero e proprio e lo è allo stesso modo, avere rapporti o approcci con una persona ubriaca o che ha fatto uso di sostanze e che, quindi, in quel preciso momento non è abbastanza lucida da capire cosa stia accadendo. Ciò avviene sia se l’azione sussiste mentre la persona è in stato di incoscienza, magari perché addormentasi dopo una sbornia, o nel caso in cui questa sia sveglia.
A rendere il tutto più confuso c’è anche il fatto che, qualora l’altra persona si dimostrasse d’accordo, il reato per abuso resta comunque presente.
Se a causa dell’alcol è dimostrabile un’incapacità nel comprendere quanto sta avvenendo, un rapporto può quindi essere considerato una violenza dove chi ha fatto bere la “vittima” è colpevole di averla posta nelle condizioni di scarsa lucidità che hanno infine portato al rapporto sessuale.
Quest’ultima parte è stata integrata proprio di recente e dopo fatti di cronaca nei quali la vittima aveva subito degli abusi proprio mentre si trovava in stato di ubriachezza.
Uno strumento in più per difendersi
Sebbene questi dati non siano così noti, quindi, le donne che pensano di aver subito dei maltrattamenti mentre si trovavano in un momento di scarsa lucidità a causa di qualcuno che le aveva spinte a ciò manipolandole, oggi hanno uno strumento in più per difendersi anche qualora non ci sia stato un rapporto completo ma il solo tentativo.
La legge infatti parla chiaro:
“In tema di violenza sessuale, rientrano tra le condizioni di “inferiorità psichica” previste dall’art. 609 bis c.p, comma 2 n. 1, anche quelle conseguenti all’ingestione di alcolici o all’assunzione di stupefacenti, poiché anche in tal caso si realizza una situazione di menomazione della vittima che può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell’agente.”
Ciò vale anche qualora ad ubriacarsi sia stata la vittima. Ciò che conta per la legge, infatti, non è tanto chi ha deciso di fare abuso di farmaci o alcolici ma l’incapacità di dare il proprio consenso (in modo lucido) al momento in cui avviene l’atto sessuale.
Una legge che forse andrebbe posta più in evidenza in modo da chiarire una volta per tutte come la presenza di alcol o droghe non sia mai una valida scusa per atti di violenza ma un motivo in più per punire chiunque si trovi nella posizione di agente, ossia di colui che sceglie di maltrattare una persona al momento incosciente o in stato di coscienza alterata, anche se questa fosse di tipo momentaneo.