Maltrattamenti in famiglia, procedibilità

Quando si parla di maltrattamenti in famiglia è difficile fare il punto della situazione. A volte questi avvengono in modo così evidente e grave da non necessitare di altro se non di una denuncia, altre però il modo di agire della persona colpevole di maltrattamenti può essere più subdolo, meno evidente o di tipo psicologico e così sottile da poter essere riconosciuto solo prestando molta attenzione. Queste difficoltà iniziali rendono l’argomento piuttosto difficile da comprendere e sopratutto da trattare e la cosa, il più delle volte, porta a tutta una serie di problematiche che spesso si apprendono solo quando ci si trova nel vivo della situazione e cioè davanti alla consapevolezza di una violenza in atto da dover fermare in qualche modo. In questa particolare fase, infatti, le cose che ci si rende conto di non conoscere sono diverse e tra queste, una tra le più sentite e meno note è quella della procedibilità in caso di maltrattamenti.

Come funziona la procedibilità in caso di maltrattamenti in famiglia

Per prima cosa è necessario capire cosa si intende quando si parla di maltrattamenti in famiglia e procedibilità. Questo termine viene usato per intendere la procedibilità d’ufficio, ovvero la possibilità di agire d’ufficio senza la necessità che la vittima sporga querela.
In genere infatti, non basta assistere ad una molestia per poter agire prontamente ma deve essere la vittima stessa a sporgere denuncia chiedendo che le autorità competenti entrino in azione.
Per rendere più chiara la cosa basta pensare che se anche un membro delle forze dell’ordine come, ad esempio, un poliziotto fosse a conoscenza del fatto che un suo conoscente subisce molestie come offese via web o stalking, egli non potrebbe procedere d’ufficio a meno che la vittima in questione non sporga per prima querela dandogli così modo di entrare in azione.
Per poter agire d’ufficio, ovvero senza la necessità di denunce o querele da parte della vittima, il poliziotto in questione dovrebbe trovarsi davanti ad un reato definito abbastanza grave dalla legge.
Eccone alcuni esempi, riferibili anche ai maltrattamenti in famiglia:

  • Violenza da parte di un genitore biologico o adottivo o da chiunque ha il compito di prendersene cura
  • Violenza sessuale su un minore di 18 anni
  • Atti sessuali su un minore che non ha ancora compiuto i 10 anni di età
  • Stalking su un minore o su una persona affetta da disabilità
  • Abuso dei mezzi di disciplina nei confronti di un minore
  • Violenza privata anche di tipo psicologico, come minacce allo scopo di far fare o non far fare qualcosa
  • Lesioni fisiche dovute ad atti violenti e con prognosi che supera i 20 giorni
  • Prostituzione minorile

Entrando più nello specifico, analizziamo ora cosa si intende per maltrattamenti in famiglia.

Secondo la legge, e più precisamente secondo la Cassazione penale sez. VI del 20 Gennaio 2015:

Sussiste il reato di maltrattamenti in famiglia ove siano riscontrabili atti di vessazione reiterata tali da cagionare sofferenza, prevaricazione ed umiliazioni che scaturiscano in uno stato di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di esistenza.”

Qualora si stesse assistendo ad una delle situazioni sopra riportate si può quindi pensare di agire in favore della persona maltrattata, specie se questa è un minore e di conseguenza non in grado di difendersi secondo i termini di legge. Nel caso in cui a subire una di queste violenze fosse un adulto di propria conoscenza, non esistono regole vere e proprie su come agire. Il buon senso prevede che si provi a parlare con la “vittima” al fine di comprendere quanto sta accadendo e, solo dopo essersi accertati della situazione, decidere come muoversi.
Si può ad esempio sporgere direttamente denuncia o chiedere consiglio e assistenza a una delle tante Onlus che si occupano di maltrattamenti e che sapranno indirizzare verso la scelta più giusta da compiere al fine di salvaguardare la persona vittima di maltrattamenti.
Invece, nel caso in cui a voler denunciare l’accaduto sia proprio la vittima, per i casi sopra elencati, basterà recarsi in qualsiasi momento in un posto di polizia o presso il comando dei carabinieri sporgendo denuncia.
È da ricordare inoltre che lo Stato tende a tutelare le vittime di maltrattamenti familiari offrendo il patrocinio gratuito (ovvero a spese dello Stato) e ciò indipendentemente dal reddito familiare.

La pena per chi ha commesso atti di maltrattamenti

Cosa avviene dopo la denuncia?
Le pene previste per atti di maltrattamento includono ad oggi la reclusione che può andare dai due ai sei anni. In caso di situazioni più gravi gli anni di reclusione possono aumentare arrivando fino a 15 anni in caso di lesioni gravissime e fino a 24 in caso di morte della vittima.

Post Author: Danila Franzone

Copywriter e amante della scrittura in generale, lavora da anni nel settore, trattando argomenti di vario genere che spaziano dal benessere al mondo dei viaggi fino ad arrivare al sociale, un campo che le sta molto a cuore.

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