Maltrattamenti in famiglia e stalking: differenze e aspetti comuni

I maltrattamenti in famiglia, la violenza, le vessazioni e gli insulti a un partner che non sono più legati da un vincolo di coniugio o nel caso in cui la convivenza sia cessata, si rilevano come episodi di stalking aggravato e non come episodi di maltrattamenti in famiglia.

Questo è stato determinato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 35673/2017. In questo caso il gravame è stato interposto da un uomo che era stato condannato per maltrattamenti in familia contro i familiari e i conviventi, quali la moglie e le figlie.

La vicenda in cassazione come esempio della differenza tra i due reati

La cassazione ha voluto segnalare quale fossero le differenze che sussistono tra il reato di percuzione e stalking e quello di maltrattamenti in famiglia, in quanto può succedere che questi due reati non solo abbiano dei contatti ma siano difficili da separare l’uno dall’altro.

Il caso che ha portato alle differenze tra le vicende in cassazione:

Un uomo aveva condotte pesantemente persecutorie e aggressive nei confronti di moglie e figlie, ossia le vittime. Queste erano inizialmente condotte all’interno del nucleo familiare, ma anche dopo la fine del rapporto di convivenza, queste si sono ripetute con l’uso di: minacce, armi, appostamenti nei luoghi frequentati dalla donna, telefonate di minaccia alle figli, agressioni, appostamenti, lesioni a cose e macchina della vittima.

Questi atteggiamenti avevano sì provocato uno stato di malessere, preocupazione e disagio nelle vittime, che erano così sottoposte a stress e incolumità fisica. Il giudice inizialmente aveva qualificato questi atteggiamenti negativi come episodi di stalking, in quanto si erano consumati dopo la cessazione della convivenza. In appello i giudici però ritennero che questi comportamenti rientravano nell’articolo 572 del codice penale, ossia come maltrattamenti in famiglia.

Qual è dunque l’interpretazione corretta?

L’interpretazione corretta secondo la Corte di Cassazione, precisa che il primo giudice aveva ragione dichiarando l’uomo colpevole per stalking ossia per atti persecutori, ex articolo 612 bis, comma secondo del codice penale.

La Corte di Cassazione afferma che anche nel caso in cui i comportamenti persecutori siano iniziati all’interno del nucleo familiare, ma il condannato non sia stato processato durante questi avvenimenti, ma solo dopo lo sviluppo e l’insistenza e gli atti persecutori perpetrati, non si può più richiedere il reato di maltrattamenti in famiglia. In quanto i maltrattamenti sono comunque sopravvenuti dopo la cessazione del vincolo affettivo e familiare.

L’oggettività giuridica dei due reati quale quello di maltrattamenti in famiglia e di stalking è differente, in quanto anche i soggetti attivi sono differenti.

Infatti, i primi maltrattamenti sono avvenuti all’interno del nucleo familiare, quindi c’era un legame attivo e affettivo tra il maltrattatore e il maltrattato. Mentre successivamente le attività lesive sono state condotte verso un ex-convivente quindi non sussisteva più il legame familiare che poteva incidire per la richiesta del reato penale di maltrattamenti in famiglia.

In ogni caso, bisogna notare, come questi due reati siano differenti tra loro almeno su un punto preciso. In quanto solo chi ricopre o ha ricoperto un ruolo familiare e aggregativo può essere accusato di maltrattamenti in famiglia, mentre il reato di atti persecutori può essere commesso da chiunque e verso qualunque soggetto e non presuppone una relazione affettiva o specifica tra i due soggetti.

In questo caso, la Corte ritiene dunque che la cessazione della convivenza e il mancato legame di coniugio tra i due, non consenta di qualificare l’attività persecutoria come una prosecuzione dei maltrattamenti familiari, e per questo motiva si ricade nel reato di stalking e non in quello di maltrattamenti.

Sarebbe stato differente se quest’attività fosse stata invece messa in atto dal coniuge della donna, e quindi fosse in essere ancora il legame familiare tra i due interessati del caso.
Il rapporto tra il reato di maltrattamenti e quello di stalking secondo la cassazione

Come abbiamo affermato all’inizio dell’articolo tra i due reati esiste comunque un rapporto di sussidiarietà. Questo è confermato anche nella clausola di riserva dell’articolo 612 bis del codice penale. La clausola di riserva infatti, rende applicabile ove lo si ritenga possibile il reato di maltrattamenti in famiglia, sanzionandolo con una pena edittale più grave rispetto a quella che definisce gli atti persecutori.

Nella forma aggravata di atti persecutori, come previsto dal secondo comma, l’illecito in questione diviene un reato di natura propria, nel caso questo venga perpretato dal coniuge legalmente divorziato o separato, o comunque da un soggetto che sia stato legato da una relazione affettiva con la persona offesa.

Dunque con questa norma l’accusato è comunque condannato per atti persecutori ma con l’aggravante di aver perpretato l’azione verso un soggetto alla quale era legato da una relazione affettiva.

Questa conclusione dunque prevede che s’individui nello stalking il reato da sanzionare, con effetti diacronici sorti però in seno alla comunità familiare o assimilata. Dunque anche se questi si sono sviluppati all’interno del nucleo familiare, questi non rientrano nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia.

La Corte infine, si premura di affermare e circoscrivere che l’applicazione del reato di persecuzione aggravato sia configurabile solo nel caso in cui vi sia stato un divorzio effettivo, o comunque nel caso in cui la relazione affettiva si possa considerare cessata definitivamente. Infatti in caso di separazione di fatto, o semplicemente legale, l’eventualità dei comportamenti persecutori, rientrano nel reato di maltrattamenti in famiglia.

Specialmente se la relazione presenta discontinuità e continui punti di contatto, ossia nel caso di una coppia che alterna momenti di convivenza a momenti di separazione, allora la legge dovrà applicare nel caso sussistano, il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello per atti persecutori.

La Cassazione dunque ha volute far notare che vi sono delle interferenze tra i due illeciti, ma che è comunque necessario porre una differenza tra i due. La traccia divisoria posta tra i due reati dunque prevede che intervenga una sentenza di divorzio e la definitiva cessazione del rapporto affettivo o familiare.

Post Author: Silvia Faenza

Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dopo la laurea, inizia il suo percorso nella scrittura e dell'editoria, in particolare legata al web. Dal 2015 affianca alla gestione dei contenuti come libera professionista, anche le attività sociali, con un occhio di riguardo alle donne.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.